Storie d’acqua 1 – Il regalo d’Ulderico e le nuovi torri della città

17 Ottobre 2014 • Acqua 2032 • di

I primi sono stati i Romani.
Numerosi ritrovamenti di manufatti e tubazioni attestano che già in età romana esisteva a Reggio Emilia un’acquedotto e che venivano attinte, dalle sorgenti denominate “Acque Chiare”, acque potabili per la città. Bisognerà aspettare, però, parecchi secoli per rivedere un acquedotto in città. Tanti anni e il colera.
I reggiani bevevano l’acqua dei pozzi che si trovano all’interno delle mura. Come in tante città in Europa, per mancanza di una rete fognaria adeguata la qualità dell’acqua peggiorava in modo inarrestabile. Nell’Ottocento 3 epidemie di colera (1836, 1855 e 1867) spinsero l’Amministrazione Cittadina a cercare una soluzione.
Un aiuto fondamentale lo trovarono in Ulderico Levi di ricchissima famiglia ebraica che  nel 1876 finanziò i primi studi per fare giungere alla città di Reggio Emilia acqua idonea all’uso potabile e sufficiente ai bisogni dei cittadini.
La commissione tecnica incaricata, di cui faceva parte l’Ing. Pellegrino Spallanzani che guidava il laboratorio chimico agrario di Reggio Emilia, nel 1879 individuò le acque del torrente Enza come le più idonee dal punto di vista qualitativo e quantitativo per rifornire la città.
Nel 1881 iniziarono i lavori di costruzione dell’acquedotto di Reggio Emilia, finanziati totalmente da Levi. Costo dell’intera opera: 463.000 lire.
Fu scelta la ditta Galopin-Sue Jacob e C. di Savona, un’ importante azienda che operava nel settore dei ponti in ferro, caldaie a vapore per la Marina, condotte per acqua ed opere idrauliche, oltre che a vagoni e rotaie e che elaborò il progetto esecutivo.
Durante i lavori nel 1883 la Galopin venne messa in liquidazione ed i lavori vennero conclusi  nel 1885 dalla Societè Metallurgique Lyonnaise di Lione (Francia).
L’inaugurazione del primo acquedotto moderno reggiano avvenne il 22 novembre 1885 presso il serbatoio di Codemondo (ancora attivo) ed alla fontana monumentale Ferrari Bonini dei giardini pubblici di Reggio Emilia (quella che vedete ancora a fianco del Teatro Valli), lo stesso anno segnò l’ultima epidemia di colera nella città.
L’acqua che veniva distribuita in città arrivava da un campo pozzi posto due chilometri a sud del centro di Montecchio, dove furono costruiti cinque pozzi e una casa per il custode. Nell’area le acque sub-alvee del torrente Enza affioravano fin quasi alla superficie ed erano storicamente utilizzate per usi irrigui, per forza motrice per i mulini e per riempire il fossato del castello di Montecchio.
Da Montecchio partiva una condotta in calcestruzzo della lunghezza di 10 chilometri, che a gravità con un dislivello di 12 metri raggiungeva a Codemondo due vasche interrate tutt’ora in uso da 1.500.000 litri . Lungo la condotta erano posizionati 27 manufatti cilindrici di sfiato ed alti 2,50 metri con funzioni molteplici, compresa quella di ricordare ai contadini durante i lavori di aratura che lì sotto passava un acquedotto.
Alcuni manufatti sono ancor oggi visibili lungo la strada provinciale Reggio Emilia – Montecchio. Sono quelle piccole torrette che vedete nei campi (sulla sinistra andando verso Montecchio)
Da Codemondo partiva poi una condotta in pressione in ghisa lunga 7 Km che alimentava la città con un dislivello di 30 m.
Nel 1921, terminati i 40 anni di gestione della Societè Metallurgique Lyonnaise, Ulderico Levi regalò l’acquedotto al Comune di Reggio Emilia, richiedendo espressamente che l’acquedotto non portasse il suo nome, ma si chiamasse “Acquedotto Reggiano”.
Ma la città cresceva e negli anni successivi l’Amministrazione Comunale potenziò l’acquedotto cittadino immettendo nelle reti l’acqua proveniente da pozzi affittati da privati e da pozzi di nuova realizzazione. Vennero perforati 2 pozzi a Codemondo centrale, 3 pozzi a Reggio (Via M.Melato, Via Bolognesi, Via Costituzione), e presi in affitto i pozzi Paterlini a Bazzarola, Maramotti all’Ospizio, ENEL in via Gorizia, Cervi a Montecchio, Fellini a Codemondo (ai confini con Cavriago).
Nel 1954 l’Amministrazione Comunale di Reggio Emilia nell’intento di potenziare ulteriormente la risorsa idrica incaricò la Società Idrogeologica Italiana e la Compagnie Generale de Geophysique di Parigi di effettuare studi idrogeologici con prospezioni geoelettriche. I risultati della ricerca condotta fra Reggio Emilia, Cella e Cavriago, individuarono a Cavriago in località Case Corti il luogo idoneo alla perforazione di nuovi pozzi.
Dal 1957 al 1964 fu portato a compimento un progetto elaborato dall’ing. Gianfranco Rossi di Bologna che prevedeva la costruzione di 5 pozzi a Case Corti, di una centrale in via Gorizia con due serbatoi interrati da 2.000 metri cubi cad. ed un serbatoio pensile di 50 m di altezza da 1.000 metri cubi (quello che i reggiani chiamano “l’Acquedotto”), di una condotta che doveva collegare i pozzi di Case Corti e la centrale di via Gorizia e una condotta in acciaio che avrebbe collegato la centrale di via Gorizia alla circonvallazione cittadina.
Lo sviluppo di Reggio Emilia rese necessari altri interventi da metà anni 60 sino al 1974. Furono realizzati nuovi serbatoi come quello di Rivalta che riceveva l’acqua di montagna dalla Gabellina (un altro storico acquedotto di cui presto parleremo) e nuovi pozzi a Cavriago e in città (via Cugini a Bazzarola, Viale Isonzo, via Gorizia centrale, via Brigata Reggio, Pieve Modolena, Castelbaldo, Rivalta). Nel frattempo si misero in pensione i pozzi di Montecchio ( la portata si era progressivamente impoverita per effetto dell’ abbassamento dell’alveo causato alle escavazioni di ghiaia ) e in città.
Nel 1974 l’acquedotto passò in gestione all’Azienda Gas Acqua Consorziale che prese in esame lo studio inizialmente intrapreso dall’amministrazione comunale relativo al reperimento di nuove risorse idriche a Quercioli di Cavriago. Iniziarono così i lavori per il nuovo campo pozzi che costituisce oggi la “cassaforte d’acqua” della città (è visitabile); parallelamente vennero progressivament chiusi i pozzi cittadini.
Nel 1996 Reggio Emilia si arricchì di una nuova torre: il serbatoio pensile di Reggio Est da 2.000 metri cubi con 3 vasche interrate per complessivi 8.000 metri cubi.
All’interno della Centrale, visitabile da scuole e cittadini, c’è il Museo dell’Acqua dove sono conservate alcune testimonianze del primo acquedotto reggiano.
Oggi la portata di acqua a disposione di Reggio Emilia sfiora i 400 litri al secondo. Ai tempi di Nonno Ulderico si viaggiava sui 23 litri al secondo.

 

Commenti chiusi.